Calcutta e l’esplosione del cantautorato stralunato

Se c’è un linguaggio particolarmente figlio dei nostri tempi, quello è l’ironia: più il periodo si fa duro (in Italia), più si ricorre al sarcasmo per esprimere sentimenti e raccontare stati d’animo. Per questo nessuno è migliore rappresentante di questa estetica di Calcutta – il musicista di Frosinone che ha rivoluzionato il modo di fare canzone d’autore nel giro di un paio di anni dal suo exploit con “Cosa mi manchi a fare”.

Testi nonsense ma sound classico

Se dovessimo valutare le canzoni di Calcutta solo sulla base del loro sound, non sarebbero affatto indimenticabili: per lo più sono piene di rimandi vintage e omaggi a personaggi mitici della nostra storia musicale, da Lucio Battisti a Ivan Graziani. Quello che veramente le caratterizza sono i testi ironici, vagamente malinconici, dove la voce narrante non si prende mai sul serio.

Questo approccio tra lo stralunato e il modesto ha segnato il successo di Calcutta ma anche di chi è emerso dopo di lui, da Giorgio Poi a Frah Quintale, da Fulminacci a Lucio Corsi passando per Carl Brave, Franco 126 o Rkomi: un’intera generazione pronta a sedurci con humor e poesia.

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